Immersi nella danza contemporanea - parte III - All dressed up with nowhere to go
ALL DRESSED UP WITH
NOWHERE TO GO, il primo studio di e con Giorgia Nardin, Amy Bell e Marco D’Agostin, è stato un turbine di
emozioni, immagini, sensazioni, che si sono accavallate senza una logica
definita:
Incertezza
Instabilità
Ricerca
Dinamicità
Collettività
Solitudine
Energia esplosiva del corpo e del movimento
Libertà
Protezione
Una bozza, un primo studio - nulla ancora è
definito, tutto è ancora in fase di cambiamento, mutazione, trasformazione -
che ha aperto generosamente le porte del teatro di Villa dei Leoni di Mira al
pubblico per confrontarsi, per capire, per aggiustare, per porre delle domande,
dei dubbi.
Guardo i tre danzatori in scena e percepisco
un’atmosfera iniziale di circospezione, di studio da parte dei performer, sullo
spazio, sul proprio movimento, sul proprio tempo (ora è più lento e titubante
ora più marcato e veloce). Azioni quotidiane diventano gesti che esprimono uno
stato d’animo più intenso e vogliono comunicare con forza sempre maggiore.
Non riesco e non voglio nemmeno dare una logica a
quello che ho visto, ma mi sono lasciata trasportare da questi movimenti, da
questi tre corpi che si sono dati al pubblico senza risparmio, senza remore,
senza limiti, in un crescendo di azioni che mi ha portato a vivere sulla pelle
quello che loro stavano concretizzando col corpo.
Idealmente mi viene spontaneo suddividere lo
studio in quattro scene, o quadri, che scandiscono dal mio punto di vista le
transizioni del corpo nel movimento nell’azione e negli stati d’animo.
La “prima” scena è più statica, legata a
pochissimi gesti, eseguiti dapprima in modo incerto e poi più sicuro. Percepisco
la ricerca di questi spazi e di questi gesti, e la titubanza nello spazio e del
movimento. I tre performer sono distribuiti in un’area ben precisa, o quasi.
Marco e Amy padroni del palco, ci osservano e li osserviamo, Giorgia è quasi
nascosta, infondo, movimenti impercettibili caratterizzano la sua presenza in
scena che sembra quasi non voluta, quasi di “troppo”.
Nella “seconda” i tre danzatori s’incontrano in un
punto preciso al centro del palco, come se ci fosse un’energia catalizzatrice
che li unisce – ma li lascia alla loro individualità senza mai toccarsi –
generando dei movimenti quasi meccanici eseguiti in senso rotatorio nello
spazio, allineandosi sia sull’intensità, sia sull’intento e sulla direzione.
Nella “terza”, la più intensa, il movimento si
libera, sembra come esplodere; si percepisce una volontà di lasciare andare
qualsiasi cosa, è il movimento che diventa padrone dell’azione fino a lasciare il
performer nudo, non solo fisicamente ma anche interiormente, e questa energia
arriva diretta in platea e travolge.
Mi travolge il carisma, la potenza, l’energia,
come un senso di positività, di libertà, di fiducia verso un qualcosa che non
so cosa sarà, verso una trasformazione che non so dove mi porterà ma il
lasciare andare ogni cosa mi evoca un grande senso di libertà che è davvero
coinvolgente.
Nella “quarta” e ultima scena i corpi ritornano progressivamente
alla calma iniziale, ma avverto un sentimento di protezione differente rispetto
all’inizio. Se inizialmente potevo individuare un senso di scoperta e d’instabilità,
in questi movimenti circolatori su e stessi, sul proprio corpo - mi evocano
l’immagine come delle viti, dei bulloni, avvitati a poco a poco a terra - come
se laddove c’è stata l’implosione fisica ora quella mentale cerca di mettere un
freno e cerca protezione, sicurezza, stabilità nello spazio attraverso una chiusura
fisica che è predominante.
Un primo studio, questo di Giorgia con
Marco e Amy, molto interessante e intenso, che nasce da un
imput iniziale grazie ai quadri di Bosch, pittore fiammingo del 500 piuttosto
surreale, che porta sulla tela i terrori, gli incubi, della mente più nascosta.
I tre giovani danzatori sono partiti da questo punto comune, da queste immagini
usate come dei “veicoli” per poi giungere altrove, indagando principalmente
nelle transizioni emotive, spaziali e d’azione.
Dopo aver visto questo lavoro la domanda che mi
pongo e che vi faccio è: si possono ricreare le emozioni vissute attraverso un’azione?
O è sempre dall’emozione che parte tutto e quindi cambiano anche le nostre
azioni?
Molto curiosa di vedere il risultato finale!
Per chi volesse vedere il lavoro, e lo consiglio
tanto, lo segnalo a Padova il 4 e 5 maggio al ridotto del Teatro Verdi per
Prospettiva Danza e Teatro!
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